Nelle aziende spazio agli ‘umanisti’

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Gestire la complessità, costruire percorsi di aggiornamento, puntare sul senso di adattamento. Sono soprattutto queste le ragioni che spingono oggi le aziende italiane ad arruolare filosofi, storici e laureati in lettere. Il continuo divenire del business e della società digitale richiede sempre di più e sempre meglio di comprendere e ‘gestire i flussi’ con una visione complessiva delle cose accanto alle competenze specialistiche.

Anche i modelli di riferimento manageriali si evolvono sempre più verso nuove forme di conoscenza che mirano a trasformare questa tendenza in valore di mercato, valore aggiunto. Ecco perché in tempi di crisi, sempre più aziende si affidano a filosofi e umanisti.

Oggi per le imprese coltivare e contaminare i processi aziendali è la nuova sfida. La dimensione umana necessita di diventare centrale, così come la discussione e il ragionamento.

In un mondo tecnologico dove tutto è riprodotto e riproducibile, dove quello che viene scoperto oggi sarà messo in discussione da una nuova scoperta domani, la tecnologia, che era ancella della scienza, invade i domini dell’uomo. Per questo nelle aziende servono persone con una visuale ampia, che con lo sguardo contemporaneamente guardino al futuro e al passato, oltre la produzione e il prodotto.

Ora più che mai le competenze trasversali sono fondamentali. Anche per questo è importante rompere i confini tra le discipline. Serve un “ingegnere rinascimentale”, amava dire Jobs, quando si riferiva alla sintesi tra scienza e umanesimo. Accanto a questi nuovi ingegneri sta prendendo piede la categoria dei “filosofi e umanisti pratici”, spesso contesi da realtà della Silicon Valley (e non solo) per permettere a chi lavora di prendere le decisioni più difficili: invece di dare risposte come tanti consulenti, fanno domande. Anche se con ritardo l’Italia inizia a muoversi in questa direzione.